Digital Strategy? Meglio ancora: Communication Strategy!

Arriva un momento per ogni marchio (aziendale, di prodotto, di non profit) in cui è necessario fare un’auto analisi per comprendere com’è percepita la propria immagine, come i propri servizi/prodotti e da chi, effettivamente, entrambi sono colti.
Si tratta di un’auto osservazione necessaria per riuscire ad aver ben chiaro se ciò che diciamo e “si dice” di noi è coerente con l’immagine che desideriamo venga raccontata.

Il digitale, lo sappiamo, gioca un grande ruolo in questo e ha meccanismi specifici che lo differenziano dai cosiddetti “media tradizionali”.

Prima di aprire ogni social media a disposizione o di costruire un sito web complesso e strutturato o di calvalcare qualsiasi trend del momento, è necessario sviluppare una strategia globale, non solo digitale: una strategia di comunicazione, intesa in ogni suo touchpoint.
Il digital è uno strumento, magari centrale, magari utile o indispensabile, ma non necessariamente fulcro di tutto ciò che abbiamo bisogno di fare.

Come iniziare quindi a ragionare sulla propria strategia di comunicazione?

 1. Dobbiamo avere ben chiaro chi siamo, qual è la nostra causa, la mission che muove il nostro marchio e la nostra realtà.

2. Stabiliamo a chi vogliamo comunicare. Arrendiamoci al fatto che un unico messaggio non può essere destinato a ogni tipologia di target: definiamo delle priorità, costruiamo delle personas che possano aiutarci a descrivere i più importanti destinatari della nostra comunicazione, evidenziandone caratteristiche ed esigenze (cosa cercano) oltre ai principali canali dove solitamente ricercano le informazioni.

3. Come dicevamo, un messaggio non può essere declinato su infiniti target: distinguiamo bene cosa vogliamo comunicare a ciascuna personas individuata.

4. A questo punto, possiamo iniziare a ragionare effettivamente sui canali. Arriva quindi il momento di distinguere eventuali media tradizionali dai canali digitali. Oggi, sul digital, un grande errore che spesso viene commesso è quello di scegliere istintivamente di essere su quanti più possibili canali al solo scopo di “esserci”. Si trasforma spesso in errore non tanto perché questo arrechi danno, ma perché può non creare alcun beneficio ma solo una perdita di tempo. È importante avere ben chiaro quali tipologie di utenti utilizzino quei canali. Se ci rendiamo conto che i  nostri destinatari sono altrove, dobbiamo spostarci anche noi. Ottimizziamo lo sforzo - creativo, di gestione e di advertising - e concentriamoci sui media adatti a noi, al nostro messaggio e al nostro pubblico.

5. Una volta che avremo individuato i canali, possiamo identificare i contenuti specifici da sviluppare. Bisogna cercare sempre di non ragionare di contenuto in contenuto, ma a medio/lungo termine, indentificando delle “rubriche” di messaggio che possiamo distribuire nel tempo e tenendo presente le caratteristiche del canale dove verranno pubblicate. Cerchiamo di aver chiaro anche come si muovono realtà a noi affini, non per “copiare”, ma per essere consapevoli di cosa già c’è online, di quanto interessa all’utente e di come possiamo riuscire a distinguerci da quei contenuti.

6. Diventiamo consapevoli che i social media, oggi, sono paid media e, alcuni, sempre più costosi. Cosa significa? Che è necessario bilanciare lo sforzo creativo di produzione dei contenuti con l’effettiva possibilità poi di promuovere gli stessi con attività di advertising. Pubblicare un post al giorno su Facebook, ma non investire nulla per sponsorizzarlo è inutile. I Social Media sono un MEDIA: e per essere presenti sui media bisogna pagare per sponsorizzare i contenuti creati! Meta in questo momento è uno spazio costoso di lotta alla visibilità: la reach organica su Facebook, per esempio, sulle pagine da più di mezzo milione di utenti, è lo 0,5% (significa che su una pagina da mille fan, quando posti qualcosa, ti vedono cinque fan).

Sviluppare un media plan, piccolo o grande che sia l’investimento a disposizione, è importante tanto quanto produrre contenuti coinvolgenti.

 

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